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al testo di Adielle
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La consolazione perde la sua magrezza su giunti di corallo aprendo finestre su un malessere incontrollabile, fuori serie, sottomarino, subacqueo. Fondale d'inossidabile latenza: e la leggerezza dell'essere viene a galla. Più carne che ossa. A poco vale un comportamento da lillipuziano, forse dovrei permettere al mio ego di squarciare vassalli e vessilli per una violenza che dia i suoi frutti, scalciando come un mulo all'aria. Ma la bestemmia che m'include come un dio, muore in gola e non resuscita. Torno a fare il sacco? Srotolando torsione di polsi e nocche, mani nude, pugni chiusi e sangue, che vi farei leccare in ginocchio sulla mia anima. Lo specchio non m'include, forse è rotto. O è lo stato delle cose che prevede congetture a vuoto e sacrifici sovrumani, che ognuno ha il coraggio di rivendicare come propri? Quella dolce stanchezza che pervade, conosciuta solo agli amanti o agli atomi o alle frazioni di tempo sequestrate dall'eterno scorrere, mi è concessa in tregue d'infinito postumo. Memoriale dei miei battiti al rogo. La verità, per giunta, è una clessidra rotta il cui tempus fugit ha il tempismo di una falsa partenza, un coito troppe volte interrotto. Far l'amore per gioco, contare le nuvole da un prato, a chi fu negato? Certo tanti altri hanno il buon diritto di lamentarsi ma questo esclude in alcun modo che lo abbia anch'io? Se dall'altare predico sante parole, che almeno sappia difendermi. La presunzione tutta mia di non essere niente mi rende vulnerabile. Non è che non vogliano aiutarmi, quelli che vogliono aiutarmi, è che non sanno proprio come fare. Restare umani. A chi mi vuole morto? Esprimi un desiderio. Ma almeno aspetta di vedere la prossima stella cadente! E poi non ho mai tentato di convincere nessuno che fossi ancora in vita. Forse una volta, una volta celeste.
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